Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXI – 27 aprile 2024.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Malattie di Alzheimer e Parkinson: aumenta
il numero dei neuroni che rientra nel ciclo cellulare.
Quantitativamente il numero di neuroni (prevalentemente eccitatori) nuovamente
impegnati nel ciclo cellulare e di neuroni senescenti si riduce col passare
degli anni, ma nel contesto della patologia di Alzheimer a tardo esordio
aumenta, e tali cellule si accumulano. Gli stessi tratti di profilo genomico di
queste cellule rientranti sono stati rilevati in una sub-popolazione di neuroni
dopaminergici nella malattia di Parkinson e nei modelli di demenza a corpi di
Lewy (LBD). [Cfr. Deng Wu
et al., PLoS Biology 22 (4): e3002559, April 23, 2024]
Scoperto nPE3: terzo promotore nel
controllo di alimentazione e bilancio energetico. L’assunzione
di cibo e il bilancio energetico sono strettamente regolati da una popolazione
neuronica del nucleo arcuato dell’ipotalamo esprimente il gene della prooppiomelanocortina
(POMC), la cui espressione nei mammiferi è guidata da due promotori
trascrizionali conosciuti come nPE1 e nPE2. Rojo e colleghi hanno scoperto un
terzo promotore, che hanno battezzato nPE3, e sono giunti a questa conclusione:
nei mammiferi un triplo processo evolutivo convergente ha portato allo sviluppo
di promotori di Pomc, parzialmente ridondanti e
integrati nei neuroni del nucleo arcuato dell’ipotalamo. [Cfr. PNAS USA 121
(18): e2322692121, April 30, 2024].
Lesione bilaterale di lobi frontali per
una “tempesta tiroidea” in un giovane di 23 anni. Trovato
febbricitante e privo di coscienza sul margine di una strada da un passante, il
giovane ventitreenne è stato ammesso al pronto soccorso in evidente stato
comatoso, con una tachicardia nodale di 180/min, ipertermia a 40.8 °C, ipoglicemia
di 2.18 mmol/L e convulsioni. Zhang Delong e colleghi
hanno diagnosticato una condizione rarissima: una encefalopatia metabolica per
lesioni frontali bilaterali causate da intensa tireotossicosi. [cfr. Archives of Endocrinology
and Metabolism AOP doi: 10.20945/2359-4292-2023-0254, April 19, 2024].
Il mistero del profumo che diventa
puzza: scoperta la base cerebrale dell’effetto. L’indolo
a basse concentrazioni ha il dolce e floreale profumo del gelsomino, ma perché
ad alte concentrazioni si può trasformare nello sgradevole e per alcuni
disgustoso lezzo di animale selvatico e poco pulito? Non è una semplice
questione di chemorecezione olfattiva: il cervello elabora in modo diverso le
informazioni della bassa e dell’alta concentrazione. Laiquan
Zou e colleghi hanno identificato, mediante un disegno sperimentale che prevedeva
un paradigma di risonanza magnetica funzionale (fMRI) in due gruppi di volontari,
la base neurale dell’elaborazione.
Nella corteccia orbitofrontale di
destra, nell’insula e nell’amigdala, si ha la trasformazione
della valenza ad alte concentrazioni di indolo per un cambiamento della
connessione edonica espressa da tratti di piacere soggettivi. Questo
cambiamento può essere spiegato da ragioni evoluzionistiche: basse
concentrazioni indicano la presenza di fiori, alte concentrazioni una minaccia
per la salute. [Cfr. Cerebral
Cortex 34 (4): bhae167, 2024].
Nel nucleo soprachiasmatico Bmal1
integra le funzioni circadiana e termica. L’orologio biologico
principale dell’organismo sito nel nucleo soprachiasmatico dell’ipotalamo
trasmette l’informazione ritmica circadiana a innumerevoli vie controllate
temporalmente, attraverso l’espressione ritmica di geni core clock,
ossia essenziali per la funzione di timer. Tali geni essenziali sono
risultati resistenti alle variazioni di temperatura. Questa proprietà è nota
come “compensazione della temperatura”. Marieke M. B.
Hoekstra e colleghi hanno dimostrato che nelle vie
controllate da questi geni la compensazione della temperatura non si
verifica: aumento e riduzione della temperatura modificano la lunghezza della
fase periodica.
I ricercatori hanno accertato che il
gene essenziale Bmal1 è richiesto per attivare la trascrizione indotta da freddo
del gene controllato dall’orologio Rbm3, cosa che suggerisce un ruolo di
integratore tra la funzione circadiana e la rilevazione sensoriale della
temperatura. [Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2316646121, 2024].
Trapanazione e chirurgia del cranio dalla
preistoria ai popoli odierni rimasti allo stato primitivo. Jeremy
C. Ganz del Department of Neurosurgery, Haukeland University Hospital di Bergen in Norvegia, in un
affascinante saggio esamina da un punto di vista neurochirurgico e non
antropologico tutti i reperti disponibili di trapanazione cranica e altri
interventi sul neurocranio, dalla preistoria alle pratiche tribali dei nostri
giorni. Ganz così introduce il suo studio: “L’umanità dimostra una curiosità
senza limiti, maggiormente espressa attraverso le attività di un piccolo numero
di individui, le cui acquisizioni interessano tutti i membri della società”.
Nella stragrande maggioranza dei casi il
fine della trapanazione del cranio era ed è terapeutico, anche se la
comprensione della fisiopatologia sottostante gli stati traumatici e patologici
era impossibile da accertare e, dunque, la decisione di intervenire, da parte
dei trapanatori preistorici, avveniva sulla base di inferenze intuitive il cui
contenuto, rimarrà per sempre ignoto. Questa rassegna rileva e commenta
variazioni nella tecnica chirurgica.
Ad esempio, per gli “sperimentatori” o etnoiatri abitanti presso la catena montuosa dell’Atlante (Atlas
Mountains), che si estende attraverso Marocco, Algeria e Tunisia e separa la
costa atlantica e mediterranea dal deserto del Sahara, era inaccettabile
intervenire all’interno delle sinostosi interossee (sutura coronale, sutura
sagittale, sutura lambdoidea), cioè operare perforando lungo le linee di
giunzione tra i tavolati esterni di osso compatto che separano le ossa
parietali dal frontale o dall’occipitale o dalla squama del temporale. Al contrario,
nell’isola di Nuova Irlanda, nell’arcipelago di Papua Nuova Guinea, la presenza
o meno delle suture nell’area di trapanazione è considerata del tutto indifferente.
In Melanesia non c’è traccia di uso di
mezzi o strategie per alleviare o contrastare il dolore della trapanazione, perché
nella massima parte dei casi i “pazienti” melanesiani erano incoscienti in
conseguenza del danno cerebrale al momento dell’intervento chirurgico. In
America del Sud, forse per la disponibilità fin dalle epoche più remote di
foglie di coca, si è dedotto l’impiego di questo vegetale come analgesico per
le trapanazioni. Nell’Africa Orientale, un paziente descriveva l’applicazione sulla
sua ferita cranica di una polvere, che si ritiene fosse considerata come un
medicamento antialgico; nonostante siano stati
condotti studi accurati, la natura di quella polvere è rimasta ignota.
Un altro aspetto interessante è quello
delle indicazioni all’intervento di trapanazione: sono state rilevate da
Jeremy Ganz delle importanti differenze. In New Britain, area situata nella
Contea di Hartford nello Stato del Connecticut (USA), la trapanazione era
indicata esclusivamente nei casi di fratture della teca cranica; nella vicina
New Ireland, l’indicazione all’intervento di
perforazione delle ossa craniche comprendeva l’epilessia e varie forme di
disturbi mentali così come erano concepiti a quel tempo. Nell’Africa del Nord e
in Africa Orientale la più frequente indicazione per la trapanazione del cranio
era il mal di testa che segue un trauma. [Cfr. Progress in Brain Research – AOP doi: 10.1016/bs.pbr.2024.02.003, 2024].
Scoperta la sepoltura di Platone e trovata
la cronaca delle sue ultime ore nei papiri di Ercolano.
Graziano Ranocchia, ordinario di papirologia dell’Università di Pisa[1],
ha presentato lo scorso 23 aprile alla Biblioteca Nazionale di Napoli alcuni risultati
del progetto di ricerca Greek Schools
condotto con l’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale e l’Istituto di
Linguistica Computazionale del CNR, e finanziato dal Consiglio Europeo della
Ricerca. Così ha esordito il papirologo: “Grazie alle più avanzate tecniche di
diagnostica per immagini stiamo finalmente riuscendo a leggere e decifrare
nuove parti dei testi che finora sembravano inaccessibili”. Le scoperte più
affascinati sono emerse dalla Storia dell’Accademia di Filodemo di
Gadara, considerato il fondatore della prima scuola filosofica napoletana, e di
cui ci siamo occupati di recente al seminario permanente sull’Arte del Vivere. Del
papiro su cui Filodemo vergò il testo è stato decifrato il 30% in più rispetto
all’ultimo studio compiuto nel 1991.
Il luogo della sepoltura di Platone è il
giardino dell’Accademia di Atene, presso il Museion o sacello sacro alle Muse,
riservato alla scuola platonica. Si legge nel papiro il racconto di una scena
in cui Platone, ammalato febbricitante nella sua dimora, ospita un Caldeo
proveniente dalla Mesopotamia e una flautista originaria della Tracia, che
suona il flauto con l’intento di alleviare la sofferenza del grande filosofo.
Platone sembra non gradire l’esecuzione sonora, perché rivolgendosi all’ospite
caldeo critica lo scarso senso del ritmo della flautista. In particolare si
legge: “Febbricitante e irritato per la musica” tra le nuove mille parole
decifrate.
Sono state adottate metodiche a noi familiari,
ma sicuramente nuove e non ancora impiegate in grandi progetti di questo ambito
di studi: l’Imaging iperspettrale a infrarossi
fornito dalla Nottingham Trent University e il TetraHertz
imaging ad alta risoluzione, a disposizione del Laboratorio Mobile
della piattaforma MOLAB appartenente all’infrastruttura di ricerca europea
E-RIHS presso CNR e Officina dei Papiri[2].
La collaborazione fra papirologi, fisici, filologi e storici ha consentito di
superare in gran parte un problema ritenuto insormontabile: sul totale dei 1840
papiri recuperati negli scavi delle rovine dell’eruzione del 79 d.C., e in
particolare dalla Villa dei Papiri, ossia la villa di Calpurnio Pisone, suocero
di Cesare che ospitò Filodemo di Gadara, ben 1560 sono stati srotolati con un
sistema meccanico che ha procurato danni ritenuti finora irreparabili; ossia ha
generato strati multipli che hanno reso impossibile riconoscere le lettere
scritte. L’uso di queste nuove metodiche ha consentito di riconoscere e
ricostruire gli strati, ricollocarli virtualmente nella posizione originaria,
ricomponendo lettere e parole, fino a ripristinare la continuità originaria della
superficie e del testo vergato.
In questo modo, dice Ranocchia: “Siamo
riusciti per la prima volta a leggere alcune sequenze di lettere dei papiri che
erano nascoste all’interno degli strati multipli, rimasti attaccati l’uno all’altro
dopo lo srotolamento fatto nei secoli scorsi con una tecnica meccanica che ha
provocato la dislocazione di interi frammenti di testo”. Il professore di
papirologia assicura che continuando il lavoro, nei prossimi anni, avremo realmente
un’idea dell’impatto di questo studio sulle nostre conoscenze, ma intanto consideriamo
qualche altro interessante spunto emerso in questa fase.
Finora si era creduto, per ipotesi e
supposizioni, che Platone fosse stato venduto come schiavo nel 387 a.C. durante
il suo soggiorno in Sicilia alla corte di Dionisio I di Siracusa. Invece
Filodemo di Gadara ci racconta che fu venduto come schiavo sull’isola di Egina,
e questo vuol dire: o nel 404 a.C., quando gli Spartani conquistarono l’isola,
o, al massimo, nel 399 a.C. subito dopo la morte di Socrate. Uno spostamento
cronologico che crea un cambio di prospettiva non irrilevante nella diacronia
biografica del filosofo.
Un’altra nuova nozione riguarda Eraclide
Pontico, figlio del celebre Eutifrone e allievo di
Platone, famoso per aver sostenuto, contro l’opinione dei contemporanei, che le
stelle non si muovono su una sfera ruotante intorno alla Terra, ma che il loro
moto apparente sia – come è in realtà – conseguenza della rotazione della
Terra. Eraclide Pontico corruppe l’Oracolo di Delfi, e il papiro di Filodemo ci
rivela un quadro totalmente nuovo delle circostanze in cui si verifica la
corruzione.
Filone di Larissa è conosciuto
soprattutto grazie al suo allievo più entusiasta, ossia Cicerone, ma non
essendo pervenuto alcuno dei suoi scritti autografi, la nostra tradizione
accademica ne ha sbagliato perfino il nome: Filodemo ci dice nel papiro che si
chiamava “Filione”, e non “Filone” come il filosofo
di Alessandria.
Se queste sono le premesse, è facile
prevedere che il prosieguo della decifrazione ci riserverà grandi sorprese. [BM&L-Italia, aprile 2024].
La guerra oggi: una delle radici
antropologiche occidentali risale al Medioevo. Una
domanda che recentemente molti studiosi di radici antropologiche della
psicologia sociale contemporanea si sono posti, suona più o meo così: “Come
mai, nonostante la spinta potente verso la pace di due grandi forze storiche, l’una
politica l’altra religiosa operanti nei territori dell’Impero Romano, il
costume medievale sarà quello di una società militarizzata, armata, fortificata
e organizzata intorno alla guerra fra popoli e al conflitto armato fra fazioni,
fino al livello familiare?”
Non è un quesito peregrino, se si pensa
che la pax romana, imposta con la forza in tutto il territorio dell’Impero
con lo scopo di realizzare un ideale di sviluppo civile e culturale
paragonabile a quello di Atene nei secoli d’oro, e la cultura cristiana dell’amore
che conservava il saluto di Gesù Cristo: “Pace a voi!”, si sono succedute e poi
fuse, man mano che i popoli d’Europa abbandonavano il paganesimo per la
dottrina portata dagli Apostoli. Tuttavia, gli storici medievalisti sorridono a
una domanda tanto ingenua, perché sanno bene che la sottomissione dei popoli
barbari da parte dei Romani non era riuscita a cancellare i loro usi incivili,
feroci, spietati e bellicosi.
Dopo la caduta dell’Impero Romano i
popoli barbari, soprattutto quelli germanici, hanno diffuso, prima nella Mitteleuropa
e poi capillarmente in tutti gli ex-territori imperiali, alcuni loro usi e
costumi, profondamente radicati nelle tradizioni di un sostrato solo tenuto a freno
e in apparenza messo a tacere dalle leggi imperiali. Due grandi dimensioni di
influenza dei barbari sulle popolazioni europee latinizzate sono costituite dal
diritto tradizionale e dalla lingua: attraverso il ritorno ai codici etnici
dopo la caduta dell’Impero Romano in tutto il territorio di sostrato, di
conquista e di influenza di ciascun popolo, e attraverso i vocaboli e le forme
linguistiche pre-romane, passa e si diffonde una visione della realtà, un modo
di concepire la vita e i rapporti umani di gran lunga più violento e brutale.
I cristiani avevano introdotto e diffuso
per il battesimo i nomi della sacra famiglia (Maria, Giuseppe e Gesù[3]),
con i parenti più stretti (Anna, Gioacchino, Elisabetta) e gli Apostoli (Pietro,
Paolo, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo…). I barbari creano e usano nomi legati
al loro rapporto con gli animali, caratterizzato da quella primitiva ambivalenza
che oscillava tra il temere-odiare e l’ammirare-idolatrare, bene espressa in un’attività
venatoria finalizzata a uccidere e mangiare l’animale per assumerne la forza, l’aggressività
e la spietata ferocia[4]. Presso
i Romani vi erano molti modelli ideali di uomo, e la maggior parte veniva dalla
Grecia: gli antichi filosofi e gli eroi della guerra di Troia, ad esempio. Per
i barbari un uomo più si avvicinava al comportamento dei grandi predatori
carnivori, più valeva. E, dunque, non meraviglia che i barbari facciano
assurgere il lupo a “ideale umano”.
Il popolo dei Franchi, germanico e
barbaro al pari dei Burgundi, in lotta con i civili Gallo-Romani sul territorio
francese, dava ai bambini che nascevano un nome composto da due radici, che
avevano il compito “simbolico-magico” di attrare sul neonato le qualità della
specie animale ammirata dai genitori: Bern-hard, che vuol dire “Orso
forte”, ha dato luogo al nome Bernardo; Bert-chramm,
che significa “Corvo lucente”, si è diffuso come Bertrando. Poi vi sono le
tante qualità del lupo rese nei nomi, oltre al semplice Lupo (Wolf): il nome
più celebre è Wolf-gang, ossia “Colui che marcia come un lupo”, ovvero
resistente e perseverante nel procedere. Il nome “Lupo” si diffonde presto
anche presso i Gallo-Romani. Il condottiero Lupo aveva un fratello chiamato Magnulfo, da Magnus wolf o
“Grande lupo”, e due figli, uno dei quali lo aveva chiamato Romulfo,
cioè “Lupo di Roma”.
Fino al V secolo il popolo e gli
aristocratici gallo-romani avevano usato tre nomi per chiamare una persona, anteponendo
in pratica un nome cristiano, quale nome proprio, a nomi di tradizione romana (Mario,
Marcello, Cesare, ecc.) e al nome della gens, quando esistente, o a un
soprannome cognominato. Sotto l’influenza dei popoli germanici, anche tanti
popoli di antica tradizione latina cominciano a rinunciare ai tre nomi, che poi
costituivano il numero minimo di base, che poteva essere accresciuto, come nell’antica
Roma, da attribuzioni legalmente sancite o da vocativi acquisiti e adottati per
scelta. Poco per volta, attraverso il successo di questa antroponimia, prima a
nord della Loira e poi anche nel meridione europeo, “si adottarono nomi
germanici dalle consonanze guerresche e animalesche, persino nel clero”[5].
La diffusione dei nomi dalle “consonanze
guerresche e animalesche” costituisce la spia di un vasto processo, la punta
emergente di un iceberg di regresso civile e, in senso proprio, di
imbarbarimento delle società europee, che importano l’idolatria della violenza,
il disprezzo della cultura come mezzo di elevazione dello spirito, l’inferiorità
e talvolta la reificazione della donna, il valore della proprietà di gran lunga
superiore al valore della vita umana, la confusione tra forza e violenza
distruttrice, la razionalizzazione della “catarsi” per giustificare massacri,
incendi e devastazioni di proporzioni ciclopiche perpetrati a danno di popolazioni
inermi.
I Romani separavano la vita civile da
quella militare; i barbari hanno portato le armi nella vita di tutti giorni,
armando le famiglie e rendendo tutti potenzialmente in grado di farsi giustizia
da soli e di andare a caccia. La regolazione delle controversie in età
imperiale era gestita mediante il Diritto Romano, ossia la forma più progredita
di dottrina giuridica di tutto il mondo antico. Come presso altri popoli di
antica civiltà, nel mondo greco-romano esistevano gli allevamenti associati all’agricoltura,
dunque non vi era alcun bisogno di cacciare per mangiare carne. Da centinaia di
anni l’arte venatoria era un fatto culturale, in cui la gestione del sapere
tecnico avveniva all’interno di una rigida struttura religiosa, governata da
vergini che consacravano la loro castità ad Artemide/Diana, e da sacerdoti
ugualmente impegnati in una condotta casta, che li distingueva dalla
maggioranza, conferendo a quell’attività uno statuto speciale. Con l’avvento
del cristianesimo si diffonde, particolarmente in Italia e in altre aree dell’Europa
meridionale, un rapporto positivo con la natura, intesa come creato di cui l’uomo,
che lo ha ricevuto in dono, è responsabile davanti a Dio; secoli prima della “predica
agli uccelli” di San Francesco, i cristiani distinguono il saggio proteggersi
dalle fiere e il lecito ucciderle per salvarsi la vita, dall’uccidere per
divertimento con frecce e tante altre armi uccelli e piccoli mammiferi.
Soprattutto è barbaro armare e
addestrare tutti i maschi di una famiglia per fini privati, non per
appartenenza all’esercito dello stato; è barbaro ricreare tra famiglie e casate
lo schema delle tribù in lotta armata fra loro e impegnate per generazioni in
interminabili faide; è dal costume barbaro che vengono le fazioni in lotta per
interessi materiali; è da popoli analfabeti e usi alla violenza nei rapporti
quotidiani regolati dalla prepotenza e dalla forza fisica nell’uso di spade,
sciabole, picche, mazze ferrate e palle di ferro chiodate incatenate, che viene
la perdita di potere e considerazione che avevano le donne come matrone romane
e come protagoniste della cultura secondo le tradizioni greche portate dai
Romani in tutto il territorio dell’Impero.
Una radice antropologica medievale della
guerra risale dunque all’epoca in cui, nella realtà dell’organizzazione sociale
dei popoli, la mentalità di coloro che avevano per modello il lupo ebbe la
meglio sulle buone intenzioni di chi adorava l’Agnello di Dio. [Fonte:
Seminario Permanente sull’Arte del Vivere BM&L-Italia, aprile 2024].
Notule
BM&L-27 aprile 2024
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Ricordiamo la tradizione dei
grecisti dell’Università di Pisa e, in particolare, la scuola di Vincenzo Di
Benedetto, considerato tra massimi esperti al mondo dei testi di medicina
ippocratica.
[2] Un team specializzato del CNR
sta sviluppando una nuova piattaforma per la filologia computazionale, basata
sul web e disponibile come open source supportata da tecniche
automatiche di analisi del testo.
[3] Nella penisola iberica si
diffonde Jesus, mentre in Italia sono più comuni nomi di battesimo che fanno
riferimento alla missione del Redentore o all’appartenenza al Messia, come
Salvatore o Cristina.
[4] Emblema di questa ambivalenza è
la caccia col falcone diffusa in Europa dalle popolazioni germaniche, prima fra
tutte quella dei Goti, che rendeva evidente l’alleanza con un animale per
ucciderne tanti altri.
[5] Michel Rouche, L’Alto
Medioevo occidentale, in Philippe Ariès & Georges Duby, La Vita Privata
dall’Impero Romano all’Anno Mille, p. 371, Edizione CDE (su licenza
Giuseppe Laterza e Figli), Milano 1986.